Acceso non era il massimo, infatti Romeo vuole che il motore sia
installato sulla Vespa per carburare e regolarlo ricalcolando anche
il giusto anticipo, non in un banco di officina, quindi riporto il
farobasso da lui e in pochi istanti tara tutto quanto: canta come
un orologio svizzero. Lo provo per le vie del feltrino e dopo aver
percorso con molta cautela un centinaio di Km senza nessun tipo di
problema tutto sembra pronto per raggiungere Santo Stefano. Nel
frattempo avevo letto l’ultimo libro scritto da Giorgio Bettinelli:
La Cina in Vespa. Bellissimo, 6150 Km fatte su strade al 30 %
brutte e al 10 % bruttissime, percorse da un uomo che nel maggio
del 1992 a bordo di una Vespa degli anni sessanta avuta in regalo
giro’ per Bali poi Giava e Sumatra, con una Vespa PX da Roma a
Saigon ( 24000 Km ), dall’Alaska alla terra del fuoco ( 36000 Km ),
da Melbourne a Citta’ del capo ( 52000 Km ), dalla Terra del Fuoco
alla Tasmania via terra ( 144000 Km ) per un totale di 256000 Km,
134 nazioni alcune delle quali attraversate piu’ volte, 6 volte la
circonferenza della Terra, 2 volte tutti i continenti con la sola
esclusione dell’Antartide.... Un libro che ho divorato con frasi
tipo: Quando io so dico so, quando io non so dico non so; ecco cio’
che si chiama sapere. Chi domina la sua collera domina il suo
peggior nemico. Non correggere un errore commesso e’ commettere un
altro errore. Bettinelli era tragicamente scomparso nell’autunno
del 2008, ma i suoi scritti rimanevano e trasmettevano sempre la
voglia di viaggiare con una Vespa. Cosa centra Bettinelli con il
mio racconto? Beh, leggendolo, immaginavo come sarebbe stato per me
trovarmi da solo con una Vespa in quei luoghi dove non esiste
nemmeno una strada, lui ci era stato, quindi se lui ce l’aveva
fatta, anch’io potevo rischiare qualcosa. Ma veniamo al viaggio.
Tutto e’ pronto per la partenza, non ho impegni per i giorni che
avevo stabilito di passare in Cadore, mia moglie Linda ha preparato
tutti i bagagli che ho gia caricato sull’auto. Lei mi accompagnera’
lungo il percorso partendo dopo di me, preparo la Vespa con il
serbatoio pieno di Shell V Power per l’occasione leggermente piu’
ricca di olio per non rischiare una grippata. Perfetto, anche il
tempo, parto in una luminosissima e calda mattina, il viaggio
procede bene, sono ancora in rodaggio e seguo le indicazioni di
Franco Curto meccanico Piaggio del mio paese che mi suggeriva:
tieni sempre la marcia piu’ alta che puoi a tre quarti di
acceleratore al massimo... Via, Cesio, scendo a Santa Giustina,
imbocco la Statale e arrivo a Belluno. All’altezza dell’ospedale
mentre in terza superavo una rotatoria, la Vespa fa una cosa strana
tipo una sfrizionata... Mi fermo subito per controllare nemmeno io
so cosa, poi riaccendo, la Vespa parte, prima, seconda, e la terza
non entra. Rallento per rifermarmi e scalo marcia ma non entra
nemmeno la prima, qualsiasi posizione metta la manetta delle marce
rimane sempre la seconda, la frizione funziona... Bo!!!!! Mi
rifermo e noto che il selettore delle marce ( esterno e non coperto
sul Farobasso ) e’ in una posizione nemmeno prevista dalla Piaggio,
pero’ la seconda e’ sempre inserita, a mano riesco a mettere
qualsiasi marcia sul selettore ma praticamente la Vespa rimane in
seconda. Decido di non proseguire, in seconda posso tornare a casa,
sperando che non succedano altre cose. Le partenze sono drastiche,
la frizione lavora bene per fortuna e riesco sempre a partire, il
viaggio tutto in seconda e’ pazzesco, credo di aver viaggiato ad
una media di 30 Km/h : un incubo. Rientrando incrocio Linda che nel
frattempo e’ partita e le racconto cosa succede, vuole aspettarmi
ma le suggerisco di proseguire, deve arrivare per mezzogiorno a
Santo Stefano per preparare il pranzo ai bimbi, io sicuramente non
ce la faro’ ad arrivare per quell’ora. Arrivato a casa parcheggio
subito il Farobasso, non ho tempo di provare a capire cosa sia
successo e francamente non ne ho voglia, ormai ero troppo convinto
di questo viaggio e sono dispiaciuto. Sul garage ho una Vespa PE
200 che decido di non adoperare, troppo facile, troppo comodo,
troppo giovane, la Vespa VNB1 del ’59 e’ in fase di restauro,
quindi prendo ancora il GS che avevo anche trascurato da molti
mesi, troppo bello viaggiare con il PE 200, troppo preso a mettere
a punto il Farobasso. Il serbatoio e’ mezzo pieno, ma sono in
ritardo, faro’ rifornimento per strada. Tolgo dal bauletto laterale
del Farobasso l’olio per fare miscela, il misurino, il Kit
attrezzi, cambio le candele di riserva a passo lungo con quelle a
passo corto, infilo tutto in uno zainetto ( perche’ il GS non ha un
capiente bauletto come il Farobasso ) e parto. Il GS e’ sporco e
impolverato ma in breve tempo e sempre a manetta mi porta di nuovo
a Belluno, ripasso quei punti dove prima avevo avuto problemi con
un po’ di timore ma arrivo a Ponte Alpi dove imbocco la statale
Alemagna che percorrero’ fino al Cadore, vado in riserva a Tai di
Cadore e poco piu’ avanti ( a Calalzo ) mi fermo ad un Repsol con
prezzi carissimi e faccio 5 Euro di benzina, metto l’olio
necessario ( un po’ in sovrabbondanza per non rischiare anche se
ormai non aveva piu’ senso ) e poi arrivo a Santo Stefano. Per quel
giorno non voglio piu’ pensare alle Vespe ma non ci riesco, sono un
po’ inkazzato anche se non so di preciso con chi, quindi la sera
torno dal GS quasi per scusarmi del mio comportamento, ero nervoso
e quindi non si ragiona al meglio, per scusarmi le prometto una
bella lucidata. L’indomani mi reco ad un fornitissimo Market ed
acquisto tutto il necessario per pulire, asciugare, sgrassare,
lucidare un veicolo, e passo un bel pomeriggio a lustrare i bulloni
e la carrozzeria del mio mezzo preferito che riprende la sua forma
smagliante, lo accendo e naturalmente parte al primo colpo, vado a
farmi un giretto, cosi’ quasi per scusarmi con lui se l’avevo
trascurato. Vedo e ritrovo i miei amici e fans della Vespa, poi la
prima sorpresa. Gemo ( Guglielmo, un mio carissimo amico di
avventure) mi chiama inkazzato come una bestia dicendomi che mentre
stava andando a manetta lungo la Sinistra Piave a 130-135 Km/h
segnati dall’auto di Manuela ( la sua morosa ) che lo seguiva ha
improvvisamente grippato facendo fare al pneumatico posteriore del
suo PE 200 ben 150 m di segno nero sull’asfalto. Per fortuna e’
riuscito a mantenere l’equilibrio e non cadere. E’ nero e ora sta
partendo per recarsi a Padola. Praticamente pochi Km da dove sono
io, inevitabile incontrarsi. Mi chiama quando e’ a Cima Gogna e
dopo aver acceso il GS mi reco verso di lui per scortarlo fino a
casa mia, ci incontriamo e lo invito a pranzo ma Gemo e’ troppo
signore per far cucinare Linda il giorno di ferragosto e quindi ci
invita a pranzare in un ristorante, solo che e’ gia’ passato
mezzogiorno e il giorno di ferragosto in una citta’ turistica e’
difficile trovare un ristorante senza aver prenotato almeno un mese
prima... Chiedo un consiglio a mio zio che ci indica un ristorante
in Val Frison una decina di km piu’ a nord dove forse un buco lo
trovano, senza prendere due auto decidiamo di andare: Io e
Guglielmo in Vespa ( provvidenzialmente avevo portato un secondo
casco che pero’ e’ quello che normalmente usa Linda e non e’ certo
della misura di Gemo ma non importa) , le donne e i bimbi ci
seguiranno in auto. Arriviamo al ristorante in un posto magnifico e
TUTTO ESAURITO. Io e Guglielmo pero’ notiamo all’entrata del
ristorante, sul praticello vicino al parcheggio un vecchio carro
usato per trasportare il fieno, con delle assi di legno sopra e
chiediamo al gestore se possiamo usarlo come tavolo, le sedie in
qualche maniera saltano fuori, una diversa dall’altra, basta
apparecchiare. Non abbiamo nemmeno fretta, diciamo che ci basta
pranzare, il gestore ci spiega che bisognera’ aspettare almeno
un’ora ma intanto arrivano gli spritzzoni... Cosi’ Kazzeggiamo
parlando delle solite cose e ridendo di gusto suscitando anche
invidia agli altri che all’interno del locale, al caldo, composti e
incravattati ci osservano mentre noi stravaccati all’aria all’ombra
di un ombrellone che avevamo fregato al bar adiacente ce la
ridiamo, vestiti casual e io con dei bei segni di olio bruciato su
una manica lasciati dalla marmitta del Farobasso sul mio giubbotto
ufficiale da Vespista impolverato e con le mosche spiaccicate degli
ultimi viaggi. L’ora passa cosi’ velocemente che ci sembra quasi
troppo presto quando ci portano da mangiare, naturalmente spesso
arriva anche il gestore che divertito si ferma a chiacchierare con
noi avendo capito che non badiamo tanto al galateo, e che tutto
sommato siamo senza tante pretese probabilmente al contrario degli
altri suoi chic clienti. I mie due figli fra un boccone e l’altro
corrono felici attorno al carretto-tavolo e riescono anche a finire
tutto senza rendersene conto, nell’aria un buon odore di abete
appena tagliato e il sottofondo dello scrosciare di un vicino
torrente. Il GS parcheggiato a pochi metri da noi suscita il solito
interesse e le ormai solite frasi: “ Questa era la Vespa “, “ aah
questa era il mio sogno di bambino “, “ Guarda come le facevano
bene “, “ ce l’aveva anche un mio amico “ , “ ne avevo una anch’io
“, “ che mona che son sta a venderla quela olta” ( trad. Che
stupido sono stato a venderla a quel tempo ). Poi i soliti
scienziati che sanno tutto con le solite frasi: “ e si, questa era
200 di cilindrata “, “ questa era quella fatta negli anni settanta
“, “ mio papa’ l’aveva uguale ma era 125 perche’ esisteva anche di
quella cilindrata “, “ ma non e’ vecchia, l’anno rifatta uguale “,
“ e’ una Lambretta “, “ no, non e’ una Lambretta, ma e’ stata
copiata da una Lambretta “. Piano piano arriva sera e ci accorgiamo
di aver passato una bellissima giornata, pensiamo spesso al Gruppo
Mod Feltre, a quante cose belle abbiamo fatto assieme, a quante si
possono ancora fare, decidiamo di tornare a Santo Stefano, dopo
aver passato ancora qualche ora assieme arriva il momento di
salutarci, ormai e sera, Guglielmo e Manuela salgono in auto e
vanno verso Padola a passare il week end. Nei giorni seguenti
scorrazzo per il Comelico con il GS e decido di tornare a salutare
Piller Moto a Sappada, entro in officina e il titolare mi saluta
dicendomi che e’ stato troppo bravo quella volta che mi ha
carburato la moto se per tre anni sono riuscito a tornare a
salutarlo senza nemmeno un problemino. A lui racconto cosa mi e’
capitato con il Farobasso e subito mi da la diagnosi: mi spiega che
c’e’ una spinetta conica di tre mm che probabilmente si e’ rotta o
si e’ sfilata, me ne regala due ( che trova nella sua officina, una
per sostituire quella rotta o persa e l’altra per sostituire
quest’ultima rovinata nei tentativi di capire come andava messa ) e
mi dice qual’e’ il trucco per inserirla e come bloccarla, mi augura
che sia quello il problema, una supidaggine, se non fosse la
spinetta sarebbe in problema piu’ grave e bisognerebbe aprire il
motore. Lusingato dalle sue parole e con un ritrovato sorriso sulle
labbra lo saluto e rientro a Santo Stefano passando per la Val
Visdende dove sono ancora evidenti i segni delle decine di metri di
neve caduti d’inverno. Per strada attiro l’attenzione di un
passante di una certa eta’ che passeggiava da solo a bordo strada
che al mio passaggio a gran voce esclama a nessuno: “ Guarda il GS
“, mi guarda negli occhi come per dirmi: “ fermati ” e io mi fermo.
Con il sorriso si avvicina, scruta il GS nei minimi dettagli
rimaniamo la sospesi nel vuoto e nessuno dice niente poi mi saluta
dicendomi : “ Grazie “ e con gli occhi un po’ lucidi se ne va...
wow Il tempo passa velocemente, ormai i miei giorni di ferie sono
finiti anche se mi sembra di essere appena arrivato, devo rientrare
per andare al lavoro, mia moglie invece si ferma ancora con i
bimbi. Preparo il GS per il viaggio di ritorno e parto, penso agli
impegni che ho e cerco di programmarmi una scaletta per riuscire ad
essere libero per il week end cosi’ potro’ ritornare in Cadore
dalla mia famiglia. Mentre viaggio penso anche al Farobasso, a come
sistemarlo. Arrivo a casa senza problemi ed e’ buio, non ho tempo e
voglia di controllare se si e’ sfilata la spinetta, ho anche un po’
paura di trovarla intatta che significherebbe dover aprire il
motore... ... ci pensero’ domani, potrei rovinare l’incantesimo di
quei giorni. Do’ comunque un ultimo sguardo al GS che ancora una
volta mi ha riportato a casa e le strizzo l’occhio perche’ ho la
sensazione che lui l’abbia strizzato a me. Il giorno successivo fra
una pausa lavorativa e l’altra chiamo anche Romeo che mi aveva
messo a punto il motore e anche lui mi da la stessa diagnosi di
Piller moto. Romeo comunque non ha colpe, il pezzo me l’ha
sostituito con uno nuovo in cui la spinetta e’ gia’ inserita e si
presume bene... ... non voglio polemizzare, tanto non risolverei
niente. Ho cinque minuti liberi e trovo il coraggio di controllare,
con gioia noto che la spinetta si e’ sfilata, in pochi minuti
inserisco quella nuova, e penso al sorrisetto beffardo di Piller
moto e anche se si trova ad oltre 120 km di distanza dico ad alta
voce “ hai visto, ce l’ho fatta al primo tentativo”, dove sporge
sulla parte piu’ stretta la “ ribatto “ come suggeritomi in maniera
che non possa piu’ sfilarsi, accendo il Farobasso e provo a fare un
giretto di prova per vedere se effettivamente e’ l’unico danno
presente. La vespa va a meraviglia e penso che bastava poco per
renderla di nuovo funzionante... ma ormai, comunque la spinetta che
mi avanza la metto nel kit attrezzi... Nel frattempo preparo il PE
200 con il serbatoio pieno, dovrei finire di lavorare nel tardo
pomeriggio di sabato, quindi e’ l’unico mezzo per raggiungere
velocemente il Comelico viaggiando con il buio, le previsioni
indicano anche brutto tempo, per un attimo mi balena l’idea di
installare perfino il parabrezza, ma preferisco optare per la tuta
antipioggia casomai, il parabrezza era installato sulla Vespa
quando l’ho comperata ed effettivamente con la pioggia eviterebbe
un sacco di noie, pero’ mi sembra poco avventuroso. Lavoro fino a
tardi tutte le sere e cosi’ finisco le mie commissioni prima del
previsto e al sabato mattina sono praticamente pronto per
ripartire, e allora dato che ho molto tempo e che le previsioni
sono totalmente sbagliate perche’ la giornata e’ priva di nuvole e
splende un sole caldissimo decido di ri-partire con il Farobasso.
Non ho nemmeno finito di pensarlo che gia’ mi trovo ad innaffiare
di benzina il serbatoio e anche una tanichetta con un litro
supplementare che non si sa mai. La sera prima, dopo aver
realizzato di poter partire, mi dedico anche ad aggiungere al mio
giubbotto ufficiale il logo del gruppo mod Feltre, il motto “ Ghe
ol darghe” ( che in italiano significa Bisogna dare ) e anche le
quattro miniature delle mie Vespe.